Il diritto fa le regole, si dice. Fa le regole per gli uomini. E può farle in due modi soltanto. Fissarle in base a un certo ordine di valori da perseguire per rendere una società e il vivere sociale ottimale, sostenibile. Oppure prendere atto dei mutamenti della società e predisporre regole per tutelare quelle situazioni che appaiono più meritevoli ovvero, secondo una valutazione economica o di tipo etico-sociale, più bisognose, rispetto ad altre concorrenti situazioni, di una protezione da parte della legge. Due i modelli, uno l’oggetto. L’uomo e le aggregazioni sociali, dalle più semplici a quelle più complesse, in cui questi, nel solco di una storia millenaria, ha organizzato i rapporti umani, come relazioni tra persone e relazioni tra persone e cose. Un sistema complesso, alla costante ricerca di una sintesi, sempre perfettibile, tra poteri, libertà e doveri sulle persone e sulle cose. Rapporti «di natura» in origine: di suddivisione cioè del territorio e di distribuzione delle cose in esso presenti. E rapporti di tipo religioso poi: di distinzione di cose, beni appartenenti agli uomini, e per ciò solo disponibili; e beni appartenenti unicamente agli dèi, e quindi indisponibili. E infine rapporti di tipo etico e politico, che si sono variamente strutturati: famiglia, Stato.
E’ però giunto il tempo in cui quell’entità che l’uomo definisce e pensa come un mero mezzo, uno strumento per operare, modificare la realtà secondo il suo volere, e che è il meccanico, a cui si negano per definizione gli attributi di coscienza e rappresentazione della realtà; è giunto il tempo, appunto, in cui quell’entità pervade sistemicamente ogni aspetto del vivere, compartecipando non solo agli effetti, ma anche alla causalità dei fenomeni. In modo autonomo, indipendente. E anche il robotico, allora, rivendica il proprio diritto. Non il riflesso diritto di essere e di agire secondo la valutazione dell’uomo, col fine di proteggerne l’economia, la salute, il benessere, in ultimo l’identità e la continuità nella storia. Ma quale sistema di regole che tuteli il robotico in quanto robotico: che ne diriga l’esistenza e la coesistenza con gli altri robotici, secondo ciascuna specie e complessità, e con gli uomini, secondo il rispettivo grado di partecipazione alla realtà, verso un optimus vivere.
L’era del robot è un tempo già preconizzato in cui l’uomo abbia devoluto, in parte e secondo certi interessi, «la scelta», che è l’atto supremo di volontà, a meccanismi autonomi e indipendenti dal volere dell’uomo nell’esecuzione della scelta. L’atto deliberativo e l’atto esecutivo della volontà appartengono a due entità distinte. Nè più né meno di quanto non sia avvenuto in passato, quando lo schiavo, considerato res, privo di una sua autonomia come persona nella società, neppure si riteneva responsabile (nel diritto) delle conseguenze della propria condotta. Lo schiavo, al pari di un elettrodomestico, se disfunzionante era ‘rottamato’, soppresso. E’ stata la costante osservazione dell’uomo sull’uomo a consentire di affrancare l’umanità dall’idea che in natura gli uomini non nascano tutti egualmente liberi. E così il diritto ha seguito quest’idea nel precetto di assicurare la libertà agli uomini in quanto tali, non in base alle condizioni di classe o di status. Analogamente, l’uomo non può sottrarsi al dovere di osservare come la realtà veda emergere una nuova figura soggettiva: il robot. Una figura in costante processo di affrancamento dall’uomo. E dall’osservazione dell’uomo sul robot ricavarne principi, idee che diano contenuto a precetti e conformino regole e performino, un domani, un diritto. Il diritto dei robot.
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