In molti saranno rimasti sorpresi dalla richiesta avanzata ad AGCOM il 14 aprile u.s. dalla FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) per l’adozione di “un provvedimento esemplare e urgente di sospensione di Telegram, sulla base di un’analisi dell’incremento della diffusione illecita di testate giornalistiche sulla piattaforma che, durante la pandemia, ha raggiunto livelli intollerabili per uno Stato di diritto”.
La Federazione ha dato conto del monitoraggio effettuato su dieci canali del noto servizio di messaggistica, dedicati esclusivamente alla distribuzione illecita di giornali: “580mila gli utenti complessivi ( 46% di iscritti negli ultimi tre mesi) e un incremento dell’88% delle testate diffuse. L’analisi condotta dagli uffici della FIEG simula anche gli effetti di rimbalzo della copia pirata su piattaforme esterne a Telegram, sia relativamente al traffico dati e ai possibili rischi di rallentamento della rete, sia sulla quantificazione del danno”, si legge nel comunicato stampa.
La richiesta (che sarà apparsa di sicuro singolare a chi ignora i poteri dell’Autorità in materia di diritto d’autore) è tutto tranne che mal indirizzata.
In questo ambito, l’Autorità ha visto accrescere progressivamente il proprio ruolo grazie a diversi interventi del legislatore (l’ultimo dei quali rinvenibile all’art. 2 della legge 20 novembre 2017, n. 167) e ha regolamentato l’esercizio delle proprie competenze con la delibera n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013, recante “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70”.
Il predetto regolamento ha subito significative modifiche il 16 ottobre 2018 con la delibera n. 490/18/CONS, per contrastare le violazioni più gravi attraverso appositi poteri cautelari e misure contro la reiterazione delle violazioni. In quell’occasione è stato introdotto l’art. 9-bis, rubricato “procedimento cautelare”, in forza del quale è possibile chiedere all’Autorità di ordinare, in via cautelare, ai prestatori di servizi che svolge attività di mere conduit o di hosting, di porre fine alla violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi entro il termine di due giorni dalla notifica dell’ordine.
AGCOM procede all’emanazione dell’ordine cautelare qualora la violazione risulti manifesta sulla base di un sommario apprezzamento dei fatti e sussista la minaccia di un pregiudizio imminente, grave e irreparabile per i titolari dei diritti.
Dunque la richiesta avanzata dalla FIEG si fonda su tale disposizione ed è, prima facie, assolutamente fondata.
A questo punto occorre, però, domandarsi se AGCOM abbia un potere di intervento nei confronti di un soggetto come Telegram.
Ancora una volta viene in aiuto la delibera 490/18/Cons dove è dato leggere “Come noto, la definizione di “prestatore di servizi” rinvia alle definizioni di cui al D. lgs. n. 70/2003 di recepimento della direttiva europea sul commercio elettronico, che disciplina in maniera compiuta gli obblighi che gravano su tali soggetti. In particolare, il Regolamento fa riferimento al prestatore di servizi della società dell’informazione che svolge attività di mere conduit o di hosting, come definite rispettivamente dagli artt. 14 e 16 del decreto. Sotto un profilo prettamente tecnico, si rappresenta che nuove forme di pirateria quali i servizi di messaggistica istantanea, qualora siano liberamente accessibili anche via internet e offrano la possibilità di usufruire di canali pubblici in cui possono condividersi contenuti, possono essere considerati alla stregua di un normale sito internet e quindi già rientranti nell’ambito di applicazione del Regolamento. Per i servizi di messaggistica istantanea personali tra utenti non è invece ravvisabile un potere di intervento da parte dell’Autorità”.
Dunque, i servizi di messaggistica come Telegram, laddove offrano la possibilità di fruire di canali pubblici sono da considerarsi ricompresi nel raggio d’azione dell’Autorità.
Nessun dubbio, dunque, che l’autorità abbia un potere di intervento soggettivo ed oggettivo.
A questo punto l’ultimo interrogativo a cui occorre dare risposta è: l’Autorità può inibire l’accesso a Telegram dall’Italia? Può, in altre parole, oscurare Telegram per gli utenti italiani?
Qui la risposta, a mio avviso, non può che essere negativa.
In ragione della localizzazione all’estero dei server impiegati, Agcom, in presenza di una violazione, potrebbe ordinare, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del Regolamento, ai prestatori di servizi che svolgono attività di mere conduit, di cui all’art. 14 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, esclusivamente di provvedere alla disabilitazione dell’accesso dall’Italia.
Tuttavia il citato art. 8, comma 2, del Regolamento pone tra i parametri di valutazione ai fini dell’adozione del provvedimento di disabilitazione quelli di gradualità, proporzionalità e adeguatezza.
Come rilevato dall’Autorità in casi analoghi (cfr., ad esempio, il provvedimento di archiviazione nel PROC. N. 1061/DDA/LC – http://tntvillage10.rssing.com/) a fronte di utilizzazioni perfettamente lecite (e finanche istituzionali, si pensi ai recenti canali istituzionali su Telegram di numerose autorità pubbliche in occasione dell’emergenza Covid 19) risulterebbe non proporzionata l’adozione di un provvedimento di disabilitazione tout court.
Certamente l’Autorità potrà richiedere al gestore del servizio di procedere alla cancellazione dei canali incriminati (e solo di quelli) ma, a mio parere, è da escludersi che possa inibire l’uso del noto servizio di messaggistica agli utenti italiani.